Resilienza nella Storia: il potere della mente umana durante la Festa della Liberazione
Il 25 aprile, l’Italia si veste dei colori della memoria e della gratitudine, celebrando la Festa della Liberazione, un giorno che non è solo un ricordo degli eventi storici che portarono alla fine dell’oppressione, ma anche un tributo alla forza inestimabile dello spirito umano. E’ un richiamo alla resilienza, un inno alla determinazione e alla speranza che risuona attraverso i secoli, un’occasione per esplorare il potere della mente umana nel resistere alle avversità e nell’affrontare i traumi.
La psicologia ci insegna che l’essere umano è incredibilmente resiliente! La resilienza è quella capacità di affrontare le difficoltà, di adattarsi e di andare avanti nonostante gli ostacoli. Durante la Seconda Guerra Mondiale, milioni di persone in Italia e in tutta Europa furono costrette a vivere in un clima di paura, privazioni e violenza, tuttavia molte di loro riuscirono a mantenere viva la speranza e a lottare per un futuro migliore. Nel cuore del celebre romanzo “Il Partigiano Johnny” di Beppe Fenoglio, troviamo un’epica narrazione di come, durante uno dei periodi più bui della storia italiana, c’è chi riuscì a superare le sfide e ad abbattere le barriere, sia fisiche che psicologiche: il romanzo racconta le vicende di Johnny, un giovane partigiano che lottò con coraggio e determinazione contro le forze dell’occupazione nazista. Attraverso le pagine di questa opera letteraria, vengono descritte situazioni estreme che ci offrono uno sguardo intimo sulle vite dei partigiani, rivelando la loro umanità ed il loro coraggio nel dire di no alla guerra, alla violenza e alla discriminazione, le loro paure e le loro speranze, e mostrando come l’essere umano sia capace di trovare forza nell’unità e nella solidarietà. Ma non solo: emerge la loro straordinaria capacità di adattarsi e di far fronte alle sventure.
Ma cosa accade esattamente nella mente di chi affronta situazioni così estreme? La neuroscienza ci offre una visione interessante su questo aspetto. Grazie alla plasticità neuronale, il cervello umano ha una straordinaria capacità di fronteggiare in maniera efficace molti eventi stressanti: durante periodi di stress e trauma, si attivano infatti nel nostro cervello tutta una serie di meccanismi di difesa per proteggerci, e uno di questi è il cosiddetto “Fight or Flight”. Si tratta di un meccanismo che venne descritto per la prima volta dal fisiologo statunitense Walter Bradford Cannon, ed è la reazione che il corpo umano mette in atto contro una minaccia. L’amigdala, situata nell’encefalo, percepisce un possibile segnale di allarme e agisce sull’ipotalamo che stimola l’ipofisi fino alla secrezione dell’ormone ACTH, che a sua volta stimola la corteccia del surrene a produrre cortisolo, l’ormone dello stress. Contemporaneamente, il sistema nervoso simpatico stimola la midollare del surrene per il rilascio di adrenalina: il battito cardiaco aumenta così come la pressione sanguigna, la digestione rallenta e il flusso sanguigno devia sui principali gruppi muscolari per assicurare al corpo maggiore energia e forza. Ecco che il corpo si trova in uno stato di tensione generalizzata, reattivo al massimo, coinvolto in una reazione di stress che può essere essenziale per la sopravvivenza. Tuttavia, la resilienza va oltre la semplice sopravvivenza: è la capacità di trovare significato e scopo anche nelle circostanze più difficili. La neuroscienza ci mostra come, quando ci impegniamo in attività che ci danno un senso di scopo e significato, il nostro cervello produca sostanze chimiche come la dopamina, che ci fanno sentire bene e ci motivano a continuare. Questo è particolarmente importante durante i momenti di crisi, quando trovare un senso ed uno scopo può aiutarci a superare le avversità. I più bei romanzi sulla Resistenza hanno come protagonisti dei ragazzi che, come Jonny, hanno creduto profondamente nei loro ideali e nel fatto che le cose, la società intorno a loro ed il loro futuro potessero cambiare a partire dalle loro scelte, dal loro scegliere da che parte stare, dal non lasciare che le cose accadessero ma dal fare di tutto affinché le cose potessero cambiare.
Resilienza Psicologica: il potere dell’ordinaria straordinarietà e i fattori che la determinano
Gli studi sulla resilienza psicologica degli ultimi decenni hanno evidenziato il suo carattere di “ordinaria normalità” e non di straordinarietà: sarebbe quindi non una caratteristica di pochi, ma potenzialmente di ogni essere umano, resa possibile in parte dalla neuroplasticità cerebrale, e in parte dalla sinergia tra alcuni fattori individuali e ambientali che, quando posseduti o sviluppati, consentirebbero una riorganizzazione positiva a seguito di eventi stressanti o traumatici. Per quanto, quindi, la resilienza sia una caratteristica potenziale di tutti noi, la probabilità di sviluppare una risposta resiliente è correlata alla presenza di alcuni fattori di matrice individuale e ambientale, il che spiega il perché non tutti reagiamo allo stesso modo di fronte alle difficoltà. Per fattori individuali si intendono quelle caratteristiche che si rivelano utili per moderare l’effetto di un trauma: dall’ottimismo, inteso come la capacità di vedere opportunità laddove sembrano esserci solo limiti, alla stima di se e al sentimento di efficacia personale, dall’attitudine a sperimentare emozioni positive, allo humor e alla flessibilità psicologica. Ad influenzare un funzionamento resiliente intervengono anche le competenze cognitive, relazionali, emotive e comunicative, oltre alla propensione all’impegno, alla capacità di controllo e al senso di sfida, dove per “impegno’’ si intende il livello di coinvolgimento in obiettivi considerati significativi, per “controllo’’ la convinzione di non essere in balia degli eventi ma di poterli controllare mobilitando risorse utili, e per “senso di sfida’’ una visione degli eventi come occasioni di crescita piuttosto che come minacce. Infine, tra i fattori individuali possiamo far rientrare anche quelli biologici, che riguardano nello specifico il ruolo di alcune varianti genetiche nel moderare l’impatto delle avversità sul benessere individuale. Ma fattori biologici, psicologici e sociali si influenzano bidirezionalmente, ed ecco che accanto ai fattori individuali troviamo quei fattori relativi al contesto in cui la persona è inserita. Secondo l’interpretazione socio-ecologica della resilienza, sarebbero proprio questi ultimi ad avere un effetto più predittivo di risultati positivi rispetto alle risorse a livello individuale: rivestono un ruolo fondamentale le relazioni affettive e di supporto che ognuno di noi riesce a stringere nel corso della propria vita, così come lo stile di accudimento e l’esperienza a livello affettivo vissuta nei primi anni di vita incidono in maniera significativa su quello che sarà il nostro approccio nella gestione delle difficoltà da adulti. Grazie alla sinergia tra risorse individuali e ambientali, le minacce potenziali all’adattamento possono trasformarsi in opportunità di crescita e sviluppo: il fatto che molte di queste risorse siano sotto il nostro controllo fa sì che la resilienza possa essere allenata e incrementata, sia dopo essere incappati in eventi traumatici sia preventivamente.
In occasione della Festa della Liberazione, mentre commemoriamo gli eventi storici che hanno portato alla liberazione del nostro paese e le storie che i nostri nonni e padri ci hanno raccontato sui sacrifici che sono stati costretti ad affrontare, fermiamoci a riflettere sul fatto che anche nei momenti più bui c’è speranza e che ognuno di noi, in virtù di una forza straordinaria che ci appartiene e che possiamo allenare e rafforzare, è capace di superare le avversità con dignità e coraggio ed emergere ogni volta più forte di prima. Buona festa della liberazione a tutti!
Carla Tosco
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