Settembre è sempre stato un mese di passaggio. La leggerezza dell’estate lascia spazio alla concretezza dell’autunno, i giorni si accorciano, le agende si riempiono. È un tempo di nuovi inizi, di ritorni e di scelte. Per i giovani, questo snodo è ancora più decisivo: rientri a scuola o all’università, progetti di lavoro, primi passi verso l’autonomia. Eppure mai come oggi tanti ragazzi si sentono intrappolati in un presente immobile, incapaci di immaginare un futuro che li accenda.
Secondo recenti studi, solo un giovane su due guarda al domani con speranza. Gli altri vedono un orizzonte chiuso, una strada che sembra spegnersi prima ancora di essere percorsa. È un dato che fa riflettere: non parliamo soltanto di economia o di lavoro, ma di qualcosa di più radicale, che riguarda la vita stessa. La speranza non è un accessorio: è il respiro che permette di sognare, di desiderare, di progettare. Quando manca, tutto si appiattisce, i giorni diventano una sequenza grigia e indistinta.
Come dice un proverbio cinese… “È meglio accendere una candela che maledire l’oscurità.” Perché la speranza non nasce dal lamento o dall’attesa passiva, ma da un gesto che rischiara, anche piccolo, anche fragile. È lì che si accende il fuoco interiore, quello che permette di guardare avanti e di trasformare un presente fermo in un futuro che pulsa.
Eppure la speranza non si insegna con le frasi fatte. Non basta un post motivazionale, un “credi in te stesso” buttato lì. La speranza nasce solo da esperienze vive, quando ciò che facciamo lascia un segno reale. Le neuroscienze ci dicono che il cervello si rafforza grazie all’esperienza: ogni volta che una scelta porta a un risultato tangibile, i circuiti della motivazione si consolidano. È in quel momento che la fiducia nel futuro cresce.
Per questo sport, cultura, lavoro, volontariato non sono attività accessorie. Sono vere e proprie palestre di crescita. Lo sport insegna la disciplina, la resilienza, la forza di rialzarsi dopo una caduta. La cultura offre linguaggi per interpretare la vita e per dare forma al caos interiore. L’impegno sociale mostra che la realtà non è immobile, che anche un piccolo gesto può trasformarla. Il lavoro, quando non è ridotto a stage vuoti o tirocini senza prospettiva, diventa responsabilità, costruzione, possibilità di incidere.
Tutto questo l’ho visto con i miei occhi partecipando alla Lilium Cup 2025, torneo internazionale di tennis ospitato al Country Club di Cuneo. In quei giorni ho respirato la passione e la motivazione di giovani atleti venuti da contesti diversi, tutti accomunati da una carica incredibile. Li ho visti allenarsi con serietà, combattere punto su punto, mettere cuore e sacrificio in ogni scambio. Ma quello che più mi ha colpito è stato lo spirito che li animava: pur essendo avversari, sapevano sostenersi a vicenda, incoraggiarsi, aiutarsi. Una comunità di competizione, sì, ma anche disolidarietà. Non solo rivali, ma alleati, complici nel condividere fatica ed emozioni. È stato un segnale forte: la speranza per i giovani non è un concetto astratto, ma qualcosa che prende forma ogni volta che esistono spazi come questi, dove la passione diventa vita concreta e relazione.
Il problema, purtroppo, è che spesso i giovani non trovano spazi in cui sentire davvero riconosciuto il loro valore. Perché le nuove generazioni, per affidarsi a figure di riferimento, hanno bisogno di percepire che la loro voce conta, che non sono pedine intercambiabili ma persone con qualcosa da dire e da offrire. Quando questo riconoscimento manca, cresce il rischio di smarrirsi in un presente vuoto; ma quando un ragazzo si accorge che ciò che fa è visto, accolto e apprezzato, allora la motivazione fiorisce e la speranza diventa palpabile.
Viviamo in un tempo in cui i social network illudono di offrire infinite possibilità. Scrollare, cliccare, ricevere like regala una gratificazione istantanea, una scarica di dopamina veloce, che però si consuma subito e lascia il vuoto. È un movimento apparente, non un’esperienza vera. Le neuroscienze parlano di “dopamina rapida”, che a lungo andare indebolisce la motivazione profonda. È questo il cortocircuito: i giovani sono immersi in un flusso di stimoli che sembra muoverli, ma che spesso non si traduce in crescita reale. E senza realtà, il fuoco interiore si spegne.
Per questo settembre diventa un’occasione simbolica. Non solo il ritorno alla routine, ma un tempo per riaccendere il motore interiore, per ritrovare passioni vere, esperienze che scaldano e danno direzione. Che sia uno sport vissuto con dedizione, un progetto culturale che emoziona, un impegno sociale che cambia davvero qualcosa, ciò che conta è percepire che la propria energia si traduce in impatto.
Ogni volta che un giovane vede che ciò che fa conta davvero, ogni volta che sente che il suo gesto lascia un segno, il fuoco cresce. E con lui cresce la speranza. Ma nessun fuoco resta acceso da solo: ha bisogno di ossigeno. Ed è la comunità a fornirlo. Scuole capaci di offrire esperienze concrete, aziende disposte a dare fiducia, istituzioni che sostengono l’autonomia, adulti pronti ad accompagnare senza soffocare.
La speranza non è mai un atto solitario: nasce nella relazione. Perché il fuoco dentro si alimenta quando trova riconoscimento fuori. Quando un ragazzo si sente visto, ascoltato, sostenuto, quella fiamma si trasforma in energia vitale, in movimento, in futuro.
Settembre, allora, non è solo il ritorno alla routine, ma il tempo in cui scegliere di accendere nuove fiamme: nello sport, nella cultura, nel lavoro, nell’impegno sociale. Ogni gesto autentico diventa luce che orienta, calore che motiva, segno che resta.
La speranza non si insegna, si vive. È il risultato di un fuoco che si accende, di una passione che diventa scelta, gesto, progetto. Sta a noi creare gli spazi in cui questo possa avvenire: luoghi di sportche uniscono, di cultura che parla al cuore, di lavoro che riconosce dignità, di impegno sociale che genera cambiamento. Il compito che abbiamo davanti è chiaro: aiutare i giovani a ritrovare motivazioni vere, a scoprire esperienze significative, a sentirsi protagonisti. Perché senza questa energia interiore non c’è futuro, ma con essa sì: con il fuoco acceso dentro, settembre diventa davvero l’inizio di una nuova stagione di speranza. Perché, come ricorda l’antico proverbio, “È meglio accendere una candela che maledire l’oscurità.” E il futuro dei giovani, e con esso il nostro, dipenderà proprio da quante candele sapremo accendere insieme.





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