Siamo in tanti, nel grande e complicato mondo dei genitori, a sentirci in colpa perché non riusciamo a passare abbastanza tempo con i nostri figli a causa del lavoro, a chiederci se i loro capricci siano colpa nostra o se, peggio ancora, certi disastri siano il risultato di averli lasciati un attimo con la nonna. Insomma, il senso di colpa è diventato quasi un compagno di avventure quotidiane: mai invitato, sempre presente e con la spiacevole abitudine di fare un po’ di confusione nella testa.
Lo scorso venerdì, ascoltando la psicoteraputa dell’età evolutiva Dott.ssa Silvia Re durante un evento dedicato a bambini e famiglie, è emerso un dato chiaro: essere genitori oggi è faticoso come mai prima, e questo senso di colpa perenne può diventare paralizzante.
Il senso di colpa può diventare il compagno invisibile di ogni genitore, silenzioso ma costante.
Ogni genitore conosce quel nodo allo stomaco che si forma quando sente di non fare abbastanza. Tra lavoro, scuola, sport, attività extrascolastiche e mille altre incombenze, la lista delle responsabilità sembra infinita, e il senso di colpa ci segue come un’ombra un po’ invadente, sempre pronta a farsi sentire. La società, poi, osserva, giudica e commenta ad ogni passo: basta un capriccio, un compito dimenticato, un bicchiere rovesciato o un piccolo errore per far esplodere quella vocina interiore che urla, senza mezzi termini, “Non sto facendo abbastanza!”.
Il paradosso è evidente e, a volte, quasi comico: più ci preoccupiamo, più ci sentiamo inadeguati; più cerchiamo di riparare, più il senso di colpa sembra moltiplicarsi. E intanto ci ritroviamo a comprare giocattoli, tablet o gadget vari, convinti che possano compensare la nostra assenza, dimenticando che il vero legame non si misura in oggetti, ma nella qualità del tempo condiviso: quei momenti in cui siamo davvero presenti, attenti, partecipi e pronti ad ascoltare. È lì, in quegli spazi autentici e concentrati, che il senso di inadeguatezza si attenua, il legame si rafforza e il nodo allo stomaco comincia finalmente a sciogliersi, anche solo un po’.
Tempo condiviso non è tempo misurato, ma tempo sentito.
Non sono le ore trascorse insieme a fare la differenza, ma la presenza autentica e attenta. Giocare, parlare, ascoltare senza distrazioni: solo così il legame affettivo cresce e il senso di colpa perde forza. Cercare di compensare la mancanza con oggetti materiali non risolve nulla, perché il vuoto emotivo si colma con attenzione, ascolto e condivisione.
Il senso di colpa genitoriale non è uniforme: muta forma e si stratifica. Può nascere dal lavoro, dall’educazione, dal confronto sociale, dalle aspettative interne. Ogni azione viene filtrata da giudizi reali o percepiti, creando un dialogo interno continuo che fa dubitare della propria capacità di esseregenitori adeguati. In questa società della prestazione, noi genitori ci confrontiamo costantemente con modelli esterni e aspettative culturali che spesso non coincidono con la realtà familiare, alimentando ulteriormente la sensazione di inadeguatezza.
Reprimere o ignorare il senso di colpa può essere pericoloso. Scaricare il peso sui figli o assecondare ogni richiesta per compensare la propria assenza alimenta il circolo vizioso. La psicologia insegna che la colpa, se vissuta in modo sano, può guidare a riparare eventuali errori. Quando diventa cronica, invece, indebolisce la relazione genitore-figlio e ostacola la serenità familiare.
Non possiamo eliminare del tutto il senso di colpa, ma possiamo imparare a gestirlo: liberarsene non è un segno di debolezza, anzi, è una vera e propria forma di forza. Il primo passo è allearsi con il nostro “Genitore Affettivo”, prendendoci cura di noi stessi, dei nostri bisogni fisici ed emotivi, perché solo chi sta bene può essere presente davvero per i propri figli. Poi viene il momento di mettere a tacere il “Genitore Normativo”, quella voce interna che ci ricorda costantemente come “dovremmo” essere, distinguendo tra ciò che ci viene imposto dall’esterno e i valori che sentiamo davvero nostri. A questo si aggiunge “l’Adulto”, la parte di noi che osserva la realtà con lucidità, impara dagli errori senza colpevolizzarsi e ci aiuta a trovare soluzioni pratiche nel qui e ora. Infine, c’è il “Bambino interiore”, che va protetto e ascoltato: accettare le proprie emozioni, tollerare la disapprovazione altrui e fondare l’autostima sui nostri valori, e non sui giudizi esterni, ci permette di vivere la genitorialità con leggerezza e autenticità.
Non esiste la risposta giusta, ma esiste l’autenticità.
Oggi la genitorialità è iper-teorizzata: libri, corsi, articoli e webinar creano un mercato della genitorialità, ma generano anche senso di colpa diffuso. Non esiste una formula universale, ma esiste l’autenticità nel vivere i valori familiari con coerenza, quell’autenticità che batte la perfezione dieci a zero!
E c’è una cosa che vale sempre ricordare: i bambini non sono statuine fragili. Trattarli come se lo fossero sottrae loro la possibilità di confrontarsi con la realtà, di mettere in gioco tutte le proprie risorse, di esercitarle e svilupparle per imparare a “stare” in un mondo che non è sempre facile o protettivo. I genitori devono sostenere e incoraggiare, non distanziare dalla realtà con strati di ovatta protettiva. L’obiettivo è aiutarli a sviluppare empatia, cioè la capacità di dare senso ai comportamenti degli altri anche quando non sono perfetti, imparando così a tollerarli.
Dire le cose come stanno, anche quando diventa necessario dire «basta, mi hai stufato», è un diritto. Meglio un piccolo sfogo gestito sul momento, un momento di pausa per respirare e isolarsi, che una sfuriata accumulata e rivendicativa.
Non esistono bambini perfetti, così come non esistono genitori perfetti.
Se qualche volta sfoghiamo nervi o frustrazione, non stiamo danneggiando nessuno, a patto che non diventi lo stile abituale della relazione. Ci sono mille modi per “riprendere i contatti” dopo un conflitto, e sarà importante dichiarare anche il diritto all’imperfezione. Ogni genitore troverà il proprio stile, dall’autoironia all’affetto, fino all’invenzione di rituali di “fine sfuriata” da condividere con i figli per recuperare calma e serenità.
In definitiva, imparare a tollerare la propria imperfezione e quella degli altri permette ai bambini di crescere più equilibrati, pronti a confrontarsi con amici imperfetti, colleghi imperfetti, fidanzati imperfetti… e con la loro stessa imperfezione.
Il dono più grande che possiamo fare a noi stessi e ai nostri figli resta sempre lo stesso: liberarsi dal peso dei sensi di colpa, vivere la genitorialità con autenticità, presenza e coerenza, perché i bambini non hanno bisogno di genitori perfetti, ma di genitori presenti.





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