Uno degli aspetti che viene costantemente ignorato in medicina è la differenza che intercorre tra i corpi degli uomini e quelli delle donne. Pur essendo soggetti alle medesime patologie, infatti, uomini e donne possono presentare sintomi, progressione della malattia o risposta ai trattamenti molto diversi tra loro.
Questo fatto è emerso anche durante la pandemia di Covid-19. In un rapporto del 26 aprile 2020 l’Istituto Superiore della Sanità spiegava come le evidenze raccolte fino a quel momento indicavano che esistono alcune differenze di sesso e genere molto importanti nel contesto della pandemia da Covid-19, considerando sia la percentuale dei contagi sia il tasso di letalità. Comprendere i meccanismi che stanno alla base di queste differenze può rivelarsi una pratica molto importante per disegnare nuove strategie preventive e di cura della malattia. Lo studio raccomandava, quindi, la raccolta e l’analisi dei dati epidemiologici e clinici disaggregati per sesso, sia a livello nazionale che internazionale.
Va detto che l’Italia in questo senso ha avuto un comportamento virtuoso: già a fine marzo emergeva che il 71% dei morti a causa del Covid-19 erano maschi. Questo approccio, però, non è stato adottato sistematicamente in tutto il mondo, e non fin da subito: per questo motivo ad oggi abbiamo solo una visione parziale del fenomeno. Solo riconoscendo le differenze tra uomini e donne si possono capire a fondo gli effetti primari e secondari di un’emergenza sanitaria, in modo da attuare, in seguito, politiche e interventi efficaci.
Per spiegare questa evidente disparità di letalità e vulnerabilità sono state avanzate alcune ipotesi di carattere generale, tra cui:
- una maggior tendenza degli uomini al tabagismo, che costituisce un fattore di rischio per contrarre l’infezione e sviluppare un quadro clinico più grave;
- una diversa modalità di impiego dei dispositivi di protezione dal virus, in particolare le mascherine. Da uno studio recente emerge infatti che gli uomini sono meno propensi a indossare la mascherina, salvo i casi in cui è obbligatorio;
- una più accentuata abitudine nelle donne a dedicare uno spazio significativo della propria quotidianità all’igiene personale;
- una risposta immunitaria più pronta nelle donne, rispetto agli uomini.
Risulta però necessario evidenziare anche le differenze che stanno alla base dei meccanismi di infezione, che sono di tipo ormonale e genetico. Sappiamo che gli estrogeni svolgono un ruolo di protezione: per capirne il motivo bisogna identificare il modo in cui il virus aggredisce le cellule del nostro organismo.
Il SARS-COV-2 si lega al ricettore ACE2, enzima di conversione dell’angiotensina 2 che è espresso a livello dell’epitelio polmonare e ha la funzione di proteggere il polmone dai danni causati da infezione, infiammazione e stress. Quando il virus si lega a questo recettore ne diminuisce l’espressione, rendendo quindi il polmone più soggetto al danno. Gli estrogeni sono in grado di aumentare l’espressione di ACE2, e di conseguenza proteggono il polmone anche nelle fasi successive dell’infezione. Al contrario, gli androgeni svolgono la funzione opposta poiché intervengono a livello enzimatico nelle fasi successive all’attacco del virus sul recettore, favorendo quindi proprio l’infezione.
In ultimo, è noto che nelle cellule femminili esistono due cromosomi X, mentre nelle cellule maschili esiste un cromosoma X e un cromosoma Y. Allo scopo di evitare una ridondante espressione dei prodotti dei geni doppia coppia sui cromosomi, dunque, nelle cellule femminili si scatena un fisiologico sistema di inattivazione casuale di uno dei due cromosomi. Esistono tuttavia alcune porzioni di cromosomi che sfuggono a queste inattivazioni, per cui nelle donne i geni presenti in queste sequenze vengono sovraespressi. ACE2 è proprio codificato nella porzione di cromosoma che sfugge all’inattivazione: sembrerebbe supportata in questo modo la teoria che le donne sono più protette, proprio perché c’è un maggior numero di ACE2 nei polmoni femminili. Nel tempo sarà importante effettuare studi specifici, anche retrospettivi, per valutare il ruolo degli ormoni sessuali nelle differenze di genere riscontrate in questa pandemia – come per esempio le conseguenze della terapia ormonale sostitutiva in donne colpite da Covid-19 – e per capire meglio il funzionamento dei geni che sfuggono all’inattivazione di uno dei due cromosomi X nelle cellule femminili e nei loro regolatori, per identificare determinanti patogenici sessospecifici nella progressione della malattia indotta dal virus SARS-COV-2.
Ad oggi non siamo ancora in grado di capire fino a che punto sesso e genere influenzino l’esposizione al SARS-COV-2, è certo però che rappresentano due importanti indicatori di rischio e di risposta all’infezione. A tal proposito, in Italia il 13 giugno 2019 il ministro della Salute ha approvato formalmente il piano per l’applicazione e la diffusione della Medicina di Genere, firmando il decreto attuativo relativo alla Legge 3/2018, e rendendo così l’Italia il primo Paese in Europa ad aver inserito formalmente il concetto di “genere” in medicina.
Questo dato, insieme alla cura con cui sono stati raccolti i dati disaggregati per sesso, costituisce un primo tassello per costruire una sanità inclusiva ed equa, che dovrebbe essere l’obiettivo da perseguire da tutti i governi e da tutte le organizzazioni internazionali.
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