Ognuno di noi, in un modo o nell’altro, è in cammino verso la ricerca di un senso: sin dal primo momento in cui iniziamo ad avere coscienza di noi stessi e della realtà che ci circonda, ci interroghiamo su chi siamo, su ciò che ci muove, su quale sia il nostro posto nel mondo. È questa ricerca che ci spinge a costruire, a creare, ad amare: la vita, nella sua essenza, è una continua scoperta, un percorso fatto di domande a cui cerchiamo di dare risposte, di pezzi di un puzzle che tentiamo di mettere insieme. Anche nelle avversità, è il desiderio di dare un significato alla nostra esistenza che ci guida, ma a volte, nei momenti di crisi profonda e nel dolore, quando quel dolore sembra prevalere su ogni altra esperienza, l’esistenza può apparirci priva di senso. La sofferenza è una componente ineludibile della vita umana: che si tratti di dolori fisici, emotivi, o esistenziali, nessuno di noi è immune da momenti di sofferenza. E nell’assenza di un senso chiaro, la sofferenza può diventare un fardello insopportabile: quando la vita non offre risposte soddisfacenti al “perché” del nostro dolore, ci troviamo di fronte a un vuoto che può diventare insostenibile.
Le ricerche neuroscientifiche hanno mostrato che alcune aree del cervello, come la corteccia prefrontale e l’amigdala, svolgono un ruolo determinante nel modulare le emozioni e nel prendere decisioni: quando queste aree funzionano in modo alterato, come può accadere durante momenti di fortissima crisi, le funzioni cognitive come la concentrazione, la memoria e la capacità di risolvere problemi possono essere compromesse. Questo può far sembrare impossibili anche le scelte più semplici, si ha una dispercezione della realtà che ci porta a dire “non ce la farò mai”, e, da un punto di vista psicologico, subentra una sensazione di impotenza e sopraffazione. Il cervello può attivare inizialmente dei meccanismi di difesa: la negazione, la dissociazione, da sé stessi o dalla realtà, o la repressione del dolore emotivo possono però offrire un sollievo che è solo illusorio e temporaneo, perché non ci mettono nelle condizioni di affrontare davvero la causa del disagio. Questa condizione di sofferenza psicologica si riflette anche sul fisico attraverso affaticamento estremo, insonnia, cambiamenti nell’appetito, mal di testa, e altri dolori fisici, che non fanno che rafforzare la sensazione di malessere generale.
Esiste un momento, a volte impercettibile, in cui si arriva a sentirsi scollegati dal senso stesso di esistere. Non accade all’improvviso, si sviluppa gradualmente, attraverso un accumulo di dolori, delusioni e stanchezza… che arrivano a togliere colore e significato alla nostra vita. Ciò che un tempo ci dava gioia e significato, perde valore, e anche gli obiettivi a lungo termine, che solitamente fungono da faro nelle tempeste della vita, perdono la loro forza: il futuro appare vuoto e la capacità di immaginare un domani migliore si appanna. Non significa necessariamente desiderare la morte, ma piuttosto perdere il legame con le motivazioni che ci spingono a vivere, come se i pilastri che sostengono il nostro senso di identità e di scopo venissero lentamente erosi. Quando poi però si arriva a sentire che ogni tentativo di dare un senso alla realtà fallisce, a quel punto, la disperazione può indurci a disancorarci dalla vita e portarci a pensare, molto spesso nel silenzio, che l’unica via d’uscita per sentirci finalmente liberi sia proprio la morte.
Il 10 settembre di ogni anno si celebra la Giornata Mondiale per la Prevenzione del Suicidio, un evento di rilevanza globale per ricordarci che il suicidio è un problema di salute pubblica e che, con interventi mirati, attraverso un approccio multidisciplinare che includa aspetti neuroscientifici, psicologici, sociologici e culturali, ed una comunicazione responsabile, può essere prevenuto. Il disturbo depressivo, i disturbi d’ansia e le esperienze traumatiche sono tra i fattori psicologici che possono intensificare il rischio di suicidio, così come le situazioni di isolamento sociale e di burnout emotivo possono aggravare il senso di disperazione. La pressione sociale, le aspettative spesso irrealistiche,la disuguaglianza economica, la disoccupazione e l’emarginazione possono contribuire a creare un senso di alienazione e di impotenza, così come le esperienze di bullismo, l’esclusione sociale, le pressioni accademiche e le difficoltà scolastiche giocano un ruolo significativo nei comportamenti suicidari giovanili. Un problema meno visibile ma altrettanto grave è il suicidio negli anziani: la solitudine, la perdita di autonomia, la perdita del partner e le malattie croniche sono tra gli elementi che impattano maggiormente. La prevenzione del suicidio richiede uno sforzo collettivo che coinvolga individui, comunità, professionisti della salute e Istituzioni!
Esiste sempre la possibilità di riscoprire una ragione per vivere. Questo processo di riscoperta richiede tempo, supporto e un grande atto di volontà. A volte, la prima scintilla di speranza può nascere dalla condivisione del proprio dolore, dal chiedere aiuto, o semplicemente dal permettersi di credere che, anche se ora non sembra, il futuro può portare nuove possibilità. Chiedere aiuto, spesso e soprattutto per qualcuno più che per altri, può essere faticoso: si ha paura di essere giudicati e stigmatizzati, si teme di dover dipendere dagli altri perdendo autonomia e controllo su di sè, o si ha difficoltà nel riconoscere di avere effettivamente un disagio per cui sia necessario farsi supportare. Anche la cultura gioca un ruolo fondamentale: di fatto, purtroppo, di suicidio non si parla molto, è ancora un grande tabù presente in ogni strato e ambiente sociale. E questo rende più difficile chiedere aiuto, anche per chi resta… sì, perché “il lutto da suicidio” è diverso da tutti gli altri, perché chi rimane lo vede come un atto di allontanamento volontario, una presa di distanza dai familiari, ci si tormenta non solo da sensi di colpa e responsabilità, ma anche da un sentimento di rabbia. E anche per chi resta, quindi, è fondamentale che ci sia il giusto supporto, da parte di tutta la comunità.
Riconnettersi alla vita significa spesso iniziare da piccoli passi: trovare una nuova passione, riscoprire vecchie amicizie, o dedicarsi a qualcosa di significativo, anche se sembra banale. A volte, il semplice fatto di riuscire a superare un altro giorno, un’altra settimana, può essere il primo passo verso una lenta ma importante rinascita. Non è un percorso facile, e richiede coraggio, pazienza, e supporto, ma è un viaggio che può portare ad una rinnovata connessione con il significato più profondo della nostra esistenza, un viaggio in cui non siamo soli.. Il senso della vita spesso si rivela proprio nella connessione con gli altri: le relazioni, con tutte le loro complessità e imperfezioni, ci ricordano che siamo parte di qualcosa di più grande. Aprirsi agli altri, condividere il proprio dolore, è un atto di coraggio che può trasformare la disperazione in speranza.
Chiederci se la vita abbia un senso, o se sia degna di essere vissuta, è un interrogativo che non ha una risposta facile o universale. Ma è proprio questo dubbio a renderci umani, a spingerci a cercare, a esplorare, a creare significato nelle nostre vite: accettare l’incertezza e vivere con il dubbio non significa rinunciare, ma piuttosto abbracciare la complessità dell’esistenza.
La vita, con tutte le sue sfumature e contraddizioni, merita di essere vissuta… non perché abbiamo trovato tutte le risposte, ma perché nel cercarle, scopriamo noi stessi e il mondo che ci circonda.
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