Viviamo in un mondo che, giorno dopo giorno, ci mette alla prova con sfide personali e collettive. In questa complessità, spesso ci troviamo a nascondere le nostre fragilità, convinti che la vulnerabilità sia qualcosa da nascondere e di cui vergognarsi. Eppure, come scriveva Leonard Cohen, “c’è una crepa in ogni cosa, ed è da lì che entra la luce”: le crepe che portiamo dentro di noi non sono solo le cicatrici delle nostre esperienze, ma anche le aperture attraverso cui la bellezza e la connessione possono entrare nelle nostre vite. D’altro canto, è proprio nelle nostre fragilità che possiamo trovare la forza per chiedere aiuto, condividere le nostre storie: far emergere queste crepe contribuisce a rafforzare sempre più l’attenzione alle diversità, promuoverne l’inclusione ed implementare un ambiente, a scuola o al lavoro o in famiglia, dove ognuno di noi possa portare il meglio di sé ed osare raccontarsi. La salute mentale è una questione che ci riguarda tutti, e in occasione della Giornata Mondiale della Salute Mentale, che si celebra il 10 ottobre di ogni anno, è importante riflettere su quanto sia fondamentale abbattere lo stigma e le barriere delle incomprensioni, e creare uno spazio in cui ciascuno possa sentirsi accolto e rispettato.
La sofferenza mentale è una realtà complessa e multiforme, che si manifesta in modi diversi a seconda di chi siamo e delle esperienze che viviamo, e che si insinua nelle nostre vite silenziosamente, portandosi dietro un carico di emozioni difficili da comprendere e, spesso, ancora più difficili da condividere. Dalla scuola ai rapporti personali, dal lavoro al rapporto con il nostro corpo, ogni ambito può diventare teatro di una lotta interiore che rimane invisibile agli occhi degli altri, ma che in noi crea crepe profonde. Per molti, la scuola rappresenta uno dei primi luoghi in cui la sofferenza mentale prende forma. È lì che iniziamo a confrontarci con il giudizio degli altri, con la paura di non essere abbastanza, con il desiderio di appartenere. Bullismo e pressioni per le performance scolastiche a volte trasformano quello che dovrebbe essere un luogo di crescita in un campo di battaglia invisibile. Le relazioni con i coetanei, così come in famiglia, sono il terreno su cui costruiamo la nostra identità, ma possono anche essere il luogo dove nascono insicurezze e paure. Tra amici, ci misuriamo con le aspettative di accettazione e di appartenenza, affrontando a volte rifiuti e incomprensioni che lasciano segni profondi. Anche in famiglia, può emergere il timore di non essere capiti o di deludere chi amiamo: l’ansia da prestazione, la paura di non riuscire a soddisfare le aspettative altrui, sono solo alcune delle sfaccettature di una sofferenza che, spesso, rimane inascoltata e si trasforma in un fardello silenzioso. Il lavoro è un’altra dimensione dove la sofferenza mentale può emergere in modo prorompente: il burnout, causato da ritmi frenetici, carichi di lavoro eccessivi e mancanza di supporto, è una delle forme più comuni di sofferenza mentale in ambito lavorativo. Le difficoltà lavorative, poi, a volte non sono semplici ostacoli da superare, ma creano crepe che si estendono a tutte le altre sfere della nostra vita. Ansia e depressione sono spesso le compagne invisibili di chi affronta quotidianamente queste sfide, che non solo tolgono colore alla vita, ma creano una condizione di vera e propria solitudine. L’ansia, con il suo costante stato di allerta e la sua capacità di farci sentire in trappola, ci spinge a cercare una via di fuga da noi stessi, mentre la depressione ci avvolge in una coltre di apatia e tristezza, facendoci perdere interesse per tutto ciò che un tempo ci rendeva felici. Un altro aspetto che riflette il nostro mondo interiore è il rapporto con il cibo: per alcuni, il cibo diventa uno strumento per colmare vuoti emotivi o per sentire di avere il controllo in un mondo che appare caotico e sfuggente. Anoressia, bulimia e altri disturbi alimentari si fanno strada tra i pensieri di chi cerca, disperatamente, di trovare un equilibrio tra l’amore e il rifiuto di sé, e non sono semplici atteggiamenti o capricci, ma piuttosto grida silenziose che chiedono ascolto e comprensione.
In una società che spesso valorizza la forza e la produttività a scapito della vulnerabilità, è fondamentale ricordare che ciascuno di noi porta con sé una storia unica, che può essere fatta anche di disagi e di sofferenze psicologiche: accettare le proprie fragilità e quelle degli altri non significa arrendersi, ma aprirsi a un dialogo che possa rompere il silenzio e dare spazio alla comprensione e alla compassione. Quando si parla di compassione spesso si pensa, erroneamente, che significhi provare pietà o commiserazione verso l’altro, che sia un sentimento che nasce da un obbligo o da un atteggiamento di facciata, o addirittura a volte si crede che l’essere compassionevoli significhi mettere sempre gli altri prima di sé stessi, farsi carico della sofferenza altrui al punto di esaurire le proprie risorse emotive o fisiche. La compassione è invece un’energia potente, un gesto che, per quanto empatia e compassione siano strettamente legate, va oltre la semplice empatia. È un atto di presenza autentica verso l’altro, che nasce dal cuore e ci collega profondamente agli altri e al mondo intorno a noi. Non è quindi solo una risposta a chi soffre, è una scelta attiva, virtuosa e non egoistica, di aprire il cuore, accettando le vulnerabilità e trovando la forza per portare la luce nelle vite altrui, nelle loro crepe. Nel buddismo e in molte altre tradizioni spirituali, si parla delle “quattro energie del cuore”: quattro qualità fondamentali che, se coltivate insieme, ci permettono di vivere la compassione in modo completo e profondo. Oltre alla compassione, che è l’atto stesso di entrare in contatto con la sofferenza altrui, considerandola parte naturale della condizione umana, ed è un elemento fondamentale e che fa la differenza anche fra gli operatori sanitari, un’altra delle energie del cuore è la gentilezza amorevole, un desiderio profondo e sincero, non condizionato né riservato solo a chi conosciamo e amiamo, che tutti possano essere liberi dalla sofferenza. Vi è poi la gioia compartecipe, che è la capacità di celebrare sinceramente i successi altrui, di vivere la felicità degli altri come un’estensione della nostra. Infine, a bilanciare le altre tre energie interviene l’equanimità, ovvero la capacità di mantenere un atteggiamento di serenità e stabilità interiore, indipendentemente da ciò che accade intorno a noi, di vedere le cose nella loro interezza, senza lasciarci trascinare dalle emozioni o dalle circostanze, e di rispondere con saggezza piuttosto che reagire d’istinto: questa energia è essenziale per vivere una compassione autentica.
Le quattro energie del cuore ci insegnano che la compassione è molto più che un semplice atto di gentilezza. È una scelta quotidiana che ci invita ad aprirci agli altri e a noi stessi, con accoglienza, rispetto, gentilezza, empatia e stabilità. Nel contesto della sofferenza mentale, queste qualità possono fare la differenza: una buona salute mentale è vitale per la nostra salute e il nostro benessere generale, è un nostro diritto e difenderlo significa aprire il nostro cuore alla compassione e alla comprensione, per noi stessi e per chi ci circonda, così che dalle crepe di ogni esperienza possa entrare quella luce che ci restituisce la dignità ed il coraggio di dire chi siamo, di esprimere anche le nostre debolezze e di essere visti come persone e non più come un problema: quella luce che ci rende tutti, insieme, più umani.
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